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Settimana santa e ruxaq awan

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Ringrazio il mio amico Santiago Lacan, abitante di Santiago Atitlàn e studente di Storia presso l’università San Carlos del Guatemala, per le preziose informazioni che mi ha fornito in merito alla ricetta del ruxaq awan e delle festività pasquali.

Questioni di sincretismo


La settimana santa è un periodo molto importante nelle tradizioni popolari a stampo cristiano. Va dalla domenica delle palme al sabato santo e ripercorre gli ultimi giorni di vita del Cristo.

In Europa, la settimana santa ha soppiantato le celebrazioni primaverili per la Bona Dea, Marte e divinità germaniche quali Eostre, protettrice di Ostara (festa dell’equinozio di primavera il cui nome ha influenzato il moderno termine Easter), ma non si è fermata qui.


Esportato insieme al resto della cultura europea, a partire dall’invasione delle Americhe, il cristianesimo ha compiuto un processo di assimilazione dei simboli precristiani anche nel “Nuovo” Mondo.

Quando gli europei riuscirono a prendere Chi-yà, ovvero l’attuale Santiago Atitlàn (Guatemala) insieme all’alleanza congiunta di Kaqchiquel e Qiché, i frati francescani e domenicani crearono delle apposite strutture per tenere impegnata la nobiltà indigena al fine di “distrarla” da progetti di ribellione e riconquista.

Queste strutture erano le cofradia, case cerimoniali, associazioni dedicate al culto di specifici santi patroni.

San Francesco aveva già prodotto, all’interno dello stesso cristianesimo, una mistica della natura (Fratello Sole, Sorella Luna etc.) con molti punti di contatto profondi con le Cosmovisioni indigene, che per tanto venne usata come grimaldello per la conversione dei Maya, ma più in generale per tutti gli abitanti “pagani” del continente americano.

Questo rese facile lo sviluppo di un culto sincretico all’interno delle cofradia – che si riconnesse alle più autentiche radici maya dal ‘700, quando i frati abbandonarono le strutture religiose e vennero “invase” dagli sciamani locali.

Attualmente, a Santiago Atitlàn esistono ancora dodici case cerimoniali, una delle quali è dedicata al culto della Santa Cruz e che si occupa principalmente delle funzioni pasquali. Prima di vedere come funziona il sincretismo attualmente, è però necessaria una piccola digressione sulla Cosmovisione tradizionale, attualmente praticata da molti popoli indigeni del Guatemala quali gli Tz’tujiles, i Kaqchiqueles, i Qiché, i Poqomam etc. anche in forma non sincretica.


Il calendario “amaca”

brevi cenni di Cosmovisione


La Cosmovisione dei Maya non è una religione né una filosofia astratta. La tradizione è pratica; è una forma di attitudine dinnanzi alla vita e un processo di educazione della percezione. All'interno della Cosmovisione Maya, come in tutte le visioni dell'universo dei popoli nativi, il creato è composto da una rete di relazioni, provenienti e facenti parte di un'unità fondamentale. Non esiste nulla di separato (la separazione è un errore percettivo), tutto è integrato.


Ogni cosa nasce dal Mistero, dal Cuore del Cielo-Cuore della Terra, che si manifesta come Tzacol (Creatore) e Bitol (Formatrice). A volte, il Creatore-Formatrice è rappresentato dalla trinità della tempesta riassunta in Huracàn e dalla Serpente Piumata Tepeu Q’uqumatz’.


Al giorno d’oggi questi enti sono rappresentati dagli idoli del Rilaj Maam (Maximòn), il Grande Anziano, e da Ya M’brei B’atzbal, Maria “la castigliana”. Il Rilaj Maam, specialmente, ha nel tempo assunto su di sé una serie di significati cristiani e lo incontreremo di nuovo nella descrizione delle festività pasquali.


La mappa per muoversi nella rete di relazioni che è il cosmo sono i calendari sacri.

Tra questi, uno dei più importanti era il calendario Ab’ (o Haab’ - amaca), della durata di 365 giorni, che regolava il ritmo delle feste civili. Si tratta ovviamente del tempo che ci impiega la Terra a completare un’orbita intorno al Sole. Diversamente dal calendario gregoriano, però, non veniva corretto ogni 4 anni con l'anno bisestile(1).

L’Ab’ consta di 18 mesi di 20 giorni ciascuno più un periodo di 5 giorni, il Wayeb, che preannuncia il cambio di “Cargador”, ovvero il nahual (archetipo temporale) che dona il proprio impulso all’intero anno.


I Maya conoscevano il concetto di zero, cosa che non ebbe solo un’influenza sulla cultura matematica, ma anche sulla vita spirituale.

(I giorni dei mesi vengono tutt’ora numerati a partire dallo 0 fino al 19.

es. 0Zac 1Zac 2Zac 3Zac 4Zac 5Zac 6Zac 7Zac 8Zac 9Zac 10Zac 11Zac 12Zac 13Zac 14Zac 15Zac 16Zac 17Zac 18Zac 19Zac

I mesi del calendario Ab’ sono i seguenti: Pop, Wo, Sip, Sotz’, Tzek, Xul, Yax’kin, Mol, Ch’en, Yax, Zac, Kej, Mak, K’ank’in, Muwan, Pax, K’yab, Kumk’u, Wayeb)


Questa introduzione è necessaria perché i cinque giorni del Wayeb sono stati sovrapposti per significato alla Settimana Santa. Il Wayeb è infatti dedicato alla meditazione, al sogno per il nuovo ciclo e ogni cerimonia pubblica è sospesa in quanto è vietato accendere fuochi.

Nel 2020 il Wayeb cade dal 26 al 30 marzo. Il 31 marzo, in concomitanza con il sorgere del sole, l’anno Ab’ verrà impregnato dall’energia del nahual 9 Noj, spirito della saggezza e della maestria.


Settimana Santa, usanze cristiche e tradizionali


La settimana santa è contraddistinta dalla drammatizzazione degli episodi più importanti della passione di Cristo. Ricalcando gli antichi misteri mediterranei legati alla morte e alla rinascita della natura, il fedele cristiano si identifica con il simbolo principale della tradizione per trarne una personale rivelazione sulla vita, sulla morte e sul dogma centrale del cristianesimo: la resurrezione.


Durante la settimana santa di Santiago Atitlàn questi significati si caricano di altri simbolismi legati alla fine della stagione secca e all’inizio della stagione delle piogge.

Nonostante la stagionalità tropicale sia molto differente da quella europea – contesto all’interno del quale si sono sviluppati i rituali del cattolicesimo – questo non significa che sia assente.

Il periodo corrispondente alla nostra primavera/estate (con una interruzione ad agosto) era nel passato l’arrivo dei doni di Chaac, il dio del cielo e della tempesta, che fertilizzava la Terra con la sua opera.


In Tz’tujil e altre lingue derivanti dal proto-maya esistono moltissime parole per descrivere la pioggia, eredità linguistica del legame antichissimo che i Maya hanno sempre avuto con l’acqua. Gran parte delle cerimonie religiose precolombiane erano legate all’elemento acqueo, dai doni messicani gettati nei cenote, al rituale chiamato “bagno di Ixchel” (il bagno della dea), fino alla processione, che si svolge tutt’oggi, che vede gli sciamani pellegrinare fino alla costa pacifica del Guatemala per recuperare frutti e altri prodotti della terra con i quali verranno addobbati gli altari durante le festività pasquali.

Il viaggio stesso rappresenta un sacrificio offerto a Chaac. Ancora oggi, la pioggia a seguito di una cerimonia è considerata un segno di benedizione da parte degli dèi.


Se da un lato la cofradia della Santa Cruz si concentra, chiaramente, sul culto della Santa Croce e si occupa delle rappresentazioni della passione, dall’altro il vero protagonista della scena è il Rilaj Maam, di cui abbiamo accennato.

La Cosmovisione maya, nonostante sia stata descritta da osservatori distratti come una “religione politeista” è in realtà più affine al panenteismo.

“Dio”, la Coscienza, il Gran Ajaw, è sia trascendente (2) , sia immanente, e si manifesta nelle infinite forze della natura a cui l’immaginazione umana dà la forma di uno spirito o di un ente divino, a volte rappresentato da un idolo.

Vale a dire che, in una sorta di disturbo da personalità multipla, il Gran Ajaw è la Terra (Ixqic), il Sole (Hunajpù), il vento (Iq’)… e nessuno di tutti questi.


Il Rilaj Maam, nel caso delle feste pasquali, rappresenta di nuovo il dio della pioggia e della guarigione, ma non solo: si trasfigura in diversi personaggi del Popol Vuh.

Nella notte del giovedì santo gli sciamani si radunano sulle sponde del lago Atitlàn e lavano i suoi vestiti.

Il venerdì santo il Rilaj Maam viene trasportato in un’apposita cappella che si trova di fronte alla chiesa centrale del villaggio – una delle più antiche sul territorio americano – e dopo essere stato impiccato viene smontato e rimontato, completamente al buio da uno sciamano eletto che viene chiamato “cargador”.


È possibile che lo smembramento del Rilaj Maam sia un richiamo alle antiche visioni dello smembramento sciamanico (infatti il Rilaj Maam è affine ad Ixpyacoc del Popol Vuh, considerato il primo sciamano), ma anche un riferimento alla stagione secca che viene in qualche maniera “uccisa” e “fatta resuscitare” come stagione delle piogge.

L’appellativo Maximòn, altra parola con cui ci si riferisce al Rilaj Maam, significa per l’appunto “colui che è sorretto da corde”(3).


Nella notte fra il sabato santo e la domenica di resurrezione i cofrade di tutte le case cerimoniali si radunano nella chiesa per una veglia cantata che dura fino all’alba. Al centro del pavimento del tempio si trova un buco, l’omphalos della tradizione, che si dice fosse anticamente un pozzo che dava su varie gallerie sotterranee che connettevano i luoghi sacri del bacino del lago. Alla comparsa dei primi raggi del sole, la botola viene aperta e un’enorme croce infissa nel terreno.

Il sorgere della croce è sì un ovvio riferimento alla resurrezione del Cristo di ritorno dalle tenebre, ma è anche l’apparizione di ciò che nella Cosmovisione sciamanica antica viene chiamata la divina ceiba, ovvero l’albero cosmico che affonda le proprie radici nel “Luogo del Reverenziale Timore” (Xibalbà), cresce attraverso la nostra realtà e si collega con le regioni delle stelle – in due parole: l’axis mundi, scalato da dèi, sciamani e spiriti di tutte le cosmologie della Terra da almeno 60.000 anni…


Secondo la leggenda, laddove oggi sorge la chiesa che ospita le festività pasquali, prima dell’arrivo degli europei si trovava un albero secolare che vedeva le stesse cerimonie, o quasi, dedicate alla santificazione del tempo nel Wayeb.

Durante la celebrazione di domenica, sia la bara contenente la statua del Cristo sia il Maximòn vengono trasportati alla cofradìa che si prenderà cura del loro culto durante l’anno successivo. Lo sciamano cargador, dopo essersi occupato dello smembramento e del rimembramento del Rilaj Maam, lo carica letteralmente sulle proprie spalle e danzando lo trasporta presso la nuova dimora.


I due “dèi”, Cristo e Rilaj Maam, sono rappresentazioni dello Spirito.

Il Cristo risorto è Hunajpù, il Sole che ha dato la propria forza al mais.

Rilaj Maam è Tz’i (4), il cane che guida le anime nel mondo sotterraneo, ma è anche Ixbalamké.

Sempre secondo il Popol Vuh, al termine della propria avventura nell’aldilà, i due gemelli sacri ascesero al cielo arrampicandosi sull’albero cosmico trasformandosi nel Sole e nella Luna, strappando l’universo al crepuscolo eterno che contraddistingueva l’orizzonte primitivo del mito.

Le processioni parallele e simultanee del Maximòn e del Cristo, della notte e del giorno, del “pagano” e del “cristiano” sembrano ricalcare questa antica dualità profondamente radicata nella mitologia Maya, e ricordarci che seppure cambi “travestimento” la realtà simbolica del mito che diventa rito è immutabile.


Ruxaq awan

-piatto tipico maya


semi di cumino

Il ruxaq awan è un piatto tipico maya che si usa durante le festività pasquali e consiste in un brodo consumato insieme a tamal cotti nelle foglie del mais.

I tamal sono parte fondamentale della cucina preispanica, che da molti curander@s attuali è considerata una vera e propria terapia preventiva.

L’educazione alla cucina naturale rientra nel primo dei quattro pilastri della Huehuepatli (la Grande Medicina azteca, oggi “curanderismo” o “medicina tradizionale mesoamericana”) chiamato Mazewalliztli e che significa, per l’appunto, “meritare”, ovvero agire in conformità agli stimoli.

Tamal per quattro persone

· Fagioli (vanno bene quelli in latta), 500 gr

· Farina di mais, 700 gr

· Margarina o olio, 300 gr

· Pomodori (o sugo se fuori stagione), 400 gr

· Peperoncino, 40 gr

· Cumino in polvere, ½ cucchiaino

· Aglio, 1 spicchio

· Alloro, 2 foglie

· sale, q.b

· Foglie di mais secche, q.b.

Cuocete i fagioli in acqua con l’aglio e l’alloro finché non sono pronti. Durante la cottura, il livello del liquido non deve mai scendere sotto quello dei fagioli stessi. Una volta che il tutto è cotto, filtrate il brodo (conservatelo per dopo) e mettete da parte i fagioli.


Se usate i peperoncini secchi, metteteli in acqua per qualche minuto, nel frattempo sbollentate i pomodori avendo cura di eliminare successivamente i semi e le bucce. Successivamente frullate il tutto per ottenere una salsa. Altrimenti limitatevi ad aggiungere la polvere di peperoncino al composto.

Unite salsa, fagioli, cumino e sale e cuocete aggiungendo un mestolo di brodo per circa un quarto d’ora.

Nel frattempo mettete le foglie di mais in ammollo nell’acqua affinché tornino morbide.

Per preparare la massa di mais mescolate la farina con un po’ di sale e olio (o margarina) e lavorate il composto a mano o con la frusta elettrica finché non ottenete una pasta molle e un po’ appiccicosa.


A questo punto togliete le foglie dall’acqua e asciugatele bene, spalmatele nell’interno con un po’ di massa affinché abbia uno spessore di circa ½ centimetro. Nel centro della massa mettete un cucchiaio o due di fagioli e salsa e, utilizzando gli stessi bordi della foglia, chiudete e legate ben saldamente il pacchetto. Potete farlo con dello spago alimentare, anche se sarebbe più tradizionale tagliare una foglia in strisce sottili e usarle come filo.

Mettete i tamal all’interno di una vaporiera e cuocete per un’ora e mezza.

Il piatto del ruxaq awan si serve accompagnato con una ciotola di brodo.






Note al testo_ 1_ Né, come vorrebbe il governo del Guatemala o alcune associazioni di sacerdoti maya, con un periodo correttivo di 13 giorni ogni 52 anni. Non ci sono prove archeologiche a riguardo.

2_ Così come appare astratto nelle descrizioni del Popol Vuh (poema di creazione Maya-Qiché), in cui viene chiamato “Cuore del Cielo” –

3_ Secondo il mito che mi fu raccontato dalla mia guida spirituale in loco, l’idolo del Rilaj Maam era scolpito nella roccia prima dell’arrivo degli spagnoli. Quando gli sciamani si resero conto del pericolo rappresentato dalla comparsa delle orde europee, lo fecero di legno affinché fosse agile nel movimento e potesse combattere contro il nemico, cosa che, a quanto pare, fece, considerando che Santiago Atitlàn è stato il penultimo regno maya a essere invaso e il primo villaggio del Guatemala a uscire dal Conflitto Armato Interno (1960-1996) con sei anni di anticipo rispetto al resto del paese!

Presto, però, il dio iniziò a infastidire le donne del pueblo e questo obbligò gli sciamani a spezzargli le gambe e legarlo, affinché i danni di un potere così forte fossero limitati. 4_ Per chi ha più dimestichezza con la mitologia mexica, queste entità sono paragonabili a Quetzalcoatl e Xolotl o, alternativamente, a Quetzalcoatl e Tezcatlipoca... che infatti è rappresentato zoppo, così come “zoppo” è il Rilaj Maam dopo la rottura delle sue gambe.












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